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Una pittura che convive con la morte: il medium è
limmagine della carne
Anche nel campo dellarte in questi ultimi
anni si è fatto un gran parlare del corpo. Si è
detto della sua specie come oggetto martoriato, come immagine
sessuale dellorganico e dellinorganico, come organo
tra gli organi e come organismo senza organi, come anatomia,
come dimensione pittorica, costumistaa etc
. Ma non si
è detto cosè realmente il corpo nel nostro
adesso, cosè realmente la carne, come si
muove la nostra sensibilità in essa, come era animata
nella storia e come potrà essere animata grazie anche
alla tecnologia nel futuro. La pittura, pur non essendo molto
attrezzata per coprire queste risposte a livello immaginologico,
si offre come un buon tavolo anatomico su cui sezionare le
forme e le topografie dello sguardo. Ecco che su questo tavolo
giungono pezzi di corpo, profili, congiunzioni di membra assemblate
e coniugate nella loro potenza.
Così come Bataille, per cominciare Les Larmes dEros,
si mette a scrivere davanti ai documenti fotografici del supplizio
cinese, giungendo alla conclusione che i singulti del campo
sacrificale spesso si confondono con le digressioni interminabili
delleros e del sadismo, così noi - facendoci
aiutare dalle parole del poeta Paul Verlaine La chair
est sainte! Il faut quon la vénère
- scopriamo lintensità dei pezzi di corpo provenienti
da una figura o da forme anatomiche disperse e irradianti.
Leggendo i due testi che Michel Leiris aveva dedicato al pittore
inglese Francis Bacon, notiamo una differenza definitiva tra
la nozione introdotta da Antonin Artaud sur la vérité
cruauté e una pittura della vérité criante.
Fra lurlo e la crudeltà non dovrebbe esserci
molta differenza, pensando soprattutto al fatto che queste
due sensibilità sono state allevate in atmosfere abbastanza
simili. Ma una sottile diversità resta e si fa avanti
tra lazione del guardare un corpo su un tavolo anatomico
e la figura della carne che si rinviene in un contesto pittorico
usato per scoprirla. Rispetto alla crudeltà - e quindi
alla sapienza scenica in cui la carne appare dilaniata, come
nelle azioni di Herman Nitsch - la pittura urlante vista da
Leiris è qualcosa che attiene ad una voce sorda, una
voce silenziosa che si nasconde nei movimenti corporali, nel
figurale (come lo chiama Gilles Deleuze). Partendo da questa
sensazione di silenzio, o meglio di urlo soffocato, nei quadri
di Fioretto la carne trova unaltra immagine, unaltra
predisposizione a se stessa. Essa rimane oggetto vivo e luminoso
perché, pur scaturendo da un passaggio illustrativo
di un pezzo di corpo morto, attraverso lenergia pittorica
conserva unentità luminosa, che simbolicamente
indica unimpercettibile e trasparente conservazione
della vita. Lidea di Fioretto è quella di riportare
sulla tela la storia di una carne avanzata perché,
traducendo il vecchio detto napoletano simme carne e
maciello, usato molto bene nel teatro di Leo De Berardinis,
egli dice che la nostra presunzione ci illude di essere ormai
immortali, e non ci rendiamo conto che siamo tutti il riflesso
simbolico di bocconcini di carne, che spesso non hanno neanche
la possibilità e la fortuna di essere adibiti alle
migliori confezioni di cibo per la sopravvivenza.
Dopo la mappatura del genoma, le grandi scoperte della genetica,
lavvento del nuovo rinascimento scientifico che sfocia
nelle potenze della comunicazione, del virtuale e del riproducibile,
gli uomini sentono meno la perdita della carne, sono rassicurati
dalla prolificazione infinita e sperano che le condizioni
di pro-creatività illimitata siano un nuovo orizzonte
che abbatte qualsiasi limite. Cosa può fare, dunque,
chi si muove nella minorità della pittura? Forse può
sezionare quellimmagine urlante e silenziosa, che si
pone dopo la disperazione del corpo senza organi ricostruito
da Bacon. Fioretto esegue così il suo mandato; il tutto
parte sempre da una superficie bianca, i primi gesti avvengono
al centro della tela, aiutati da un pennello grande e dalla
trama larga. Le pennellate ricordano la pittura gestuale orientale.
Esse allinizio sfiorano linformale puro ed è
da qui che poi inizia il vero procedimento. Il pittore ad
ognuna di queste pennellate dedica un tempo che sprofonda
nel dettaglio. Tutti i gesti vengono contornati e, a poco
a poco, i pezzi di luce chiara e informe che erano stati scaricati
in un primo momento sulla tela vengono lavorati anatomicamente,
cercando di tirare fuori dal dettaglio un profilo, unanca,
un braccio, mezzo collo, un naso ed altri particolari di un
corpo. Questi blocchi cromatici, che ben presto prendono le
sembianze di masse carnine, ruotano nello spazio vuoto intorno
a se stesse, sono lo specchio di se stesse e si muovono in
una tensione che riflette la loro stessa energia. In alcuni
dei lavori, il fruitore può, inoltre, intravedere dei
pezzi pittorici a lato della massa che, come finestre, mostrano
un residuo di lavorazione cromatica proveniente da una delle
stratificazioni precedenti del processo esecutivo. È
una maniera leggera e collaudata di direzionare la prospettiva
dello sguardo e dare sostanza al dettaglio senza rinunciare
alle sottili memorie che si nascondono sul fondo del quadro.
A differenza del corpo dissestato di Bacon, esse partono dalla
ricostruzione di una massa che per lartista contiene
una doppia valenza: negativa e positiva. Infatti, Fioretto
definisce questi lavori ipostasi ed ectopie, e li contrassegna
con la sigla TNM ed un numero progressivo. Le ipostasi per
loro cultura richiamano a riferimenti filosofici. Il neoplatonismo
fu una forma di monismo idealistico, nel quale il concetto
di uno perfetto e forse inconoscibile era ritenuto lidea
ultima delluniverso. Secondo i neoplatonici le ipostasi
erano delle irradiazioni e delle emanazioni delluno,
tra cui la più lontana tra tutte è il cosiddetto
nous (intelletto puro). Plotino ebbe a lavorare sullidea
dellemanazione, egli disse che a partire dalluno
si estendevano diverse sostanze e livelli di realtà.
Secondo questi la luce è unemanazione che si
espande da una fonte luminosa inesauribile. Filone e Plotino
concepiscono, dunque, le forme ipostatiche come logos. Cirillo
ebbe a rivendicare la madre di Dio come unione
intima e ipostatica con la natura divina; Cristo si sarebbe
dunque incarnato tramite una compenetrazione delle due nature.
Viceversa la parola ectopia suona come una vera e propria
sigla, perché fondamentalmente essa significa molto
poco, quasi niente. Invece, il monogramma TNM, che accompagna
questi lavori di Fioretto, è ripreso dalla terminologia
medica; esso in campo oncologico indica la specificità
e lentità di una massa tumorale. In particolare
la T sta proprio per tumore, la N per linfonodi regionali
e la M per metastasi.
Messe insieme, simbolicamente, le tre definizioni ipostasi,
ectopia e TNM selezionano una particolare idea delloggetto
artistico, che in questo caso si presenta al centro della
tela come una massa cromatica dotata dei suoi punti di luce,
dei suoi pieni e dei suoi vuoti. Limmagine della massa
appare come un oggetto staccato dal corpo e che, contemporaneamente,
ruota sullo sfondo monocromatico della tela. Ma la superficie
colorata da cui esso si diparte appare anche come un nuovo
corpo, forse il corpo unico che larte può mettere
a disposizione dello sguardo: la tela. Il pittore riportando
la carne sul proprio tavolo anatomico realizza
un atteggiamento minoritario della pittura. Forse perché
la pittura, detto proprio alla Deleuze e Guattari, è
solo minorità. Il pittore parte dalla riproduzione
di unimmagine maligna per ritrovare in essa
dei punti di vuoto e di pieno. Il pieno è costituito
dalla luce e il vuoto è alluso attraverso la minaccia
della massa tumorale che si nasconde nellimmagine.
Si è sempre detto che lartista facendo lopera
non può fare a meno di parlare anche della condizione
della sua disciplina. Fare larte indica di per sé
uno screening sullo stato dellarte. Dunque, Fioretto
è consapevole che le isotopie, dopo il contributo della
fotografia ologrammatica, avrebbero potuto dare risultati
più efficaci e spettacolari. La simulazione del TNM,
con lausilio delle tecnologie di ricostruzione digitale,
sarebbe stata più vicina ad una riproduzione scientifica.
Insomma, il pittore sa di essere stato superato dalla tecnica,
è consapevole del fatto che essa ha messo in discussione
il valore generale dellopera e la figura centralizzante
del suo lavoro e spesso sa di essere un piccolo ed irriconoscibile
artigiano (filosofo). Ma è proprio in questa condizione
estrema di minorità, e quasi di in-potenza, che si
trattiene lo spazio migliore per costruirsi una teologia della
liberazione, ovvero una libertà conquistata con luso
di uno strumento che è fuori dal tempo tecnologico
presente, ma che di questo jetzt-zeit tenta di sviluppare
lindomita percezione di una dissociazione selvaggia.
Nelle emanazioni di Fioretto, pittoricamente, il digitale
è comunque considerato ed ha funzione di specularità.
Ma tale resa non basta a definire laccadimento visivo
della massa tumorale, perché essa è più
forte e di per sé trasporta unimmagine che anche
in una semplice riproduzione pittorica riesce a conservare
il suo impatto.
Ho più volte detto a Fioretto che i lavori da me preferiti
sono le ipostasi TNM+4, TNM+6, oppureTNM+7, TNM+8 e TNM+9.
In queste pitture la massa si avvicina maggiormente ad un
apice di organicità/inorganicità, e non si distinguono
più nasi, dentiere, profili, bocche etc
, prevalentemente
la quantità di materia trattiene in forma energetica
la sostanza della sua emanazione e della sua carnivora diramazione
tumorale. Risultano, poi, particolarmente curiose anche le
sequenze TNM+11, TNM+12, TNM+13, TNM+14, TNM+15 e TNM+16.
Anzi scavando ancora oltre allinterno di questa successione,
il TNM+12 ha raggiunto una sinteticità, unasciuttezza
ed una tensione interiore di gran lunga più intense.
Qui il colore e il collegamento sinuoso del segno, spostandosi
verso la figura rigorosamente contornata, giungono ad una
omogeneità e ad una forma armonica forte, sfiorando
il limite della plasticità tensionale. Questimmagine
non prende le mosse dalla mistura carnina dosata molti anni
fa da Mattia Moreni, ma si muove in un rapporto di colore
e forma che addensa la massa corporale, lalleggerisce
nelleffetto immagine, la riporta sottilmente al dettaglio
ambiguo tra il segno fisico e la dimensione psichica che evoca
un al di là della corporalità stessa, ciò
che potremmo chiamare la persistente corporalità del
male.
È inevitabile che chi guarda queste sembianze si ponga
il problema della metastasi dellimmagine stessa. Nella
nostra società dello shopping, la rappresentazione
è ormai incancrenita; il procedimento che presuppone
e che realizza lo stato della sua forma comunicativa è
metastatico e metastasico. Il pittore agisce nella minorità
per far apparire in maniera più evidente la contraddizione.
Limmagine è inghiottita dalla sua stessa massa
tumorale: essa si crea e si distrugge contemporaneamente,
in se stessa trova il vuoto e il pieno per autocrearsi ed
autodistruggersi. Forse è questo il metodo sottile
e nascosto che ogni forma di comunicazione sfrutta per tenersi
a galla nel tempo presente. Non ci può essere solo
un aspetto positivo o solo un aspetto negativo in questimmagine.
È come se lemanazione divina dellipostasi
si confondesse con lalterità visionaria della
massa tumorale. Bene e male si espandono e si concentrano
organicamente nella forma dellimmagine.
Cosa rimane al pittore, visto che la sua azione è tutta
concentrata sulla mediazione della tela. Diciamo che egli,
come i mistici che erano lontani dalle ferree regole ecclesiastiche,
contempla e invita a guardare al consumo della carne tenendosi
lontani dallusarla e dal mangiarla. La carne è
composta principalmente di fibre muscolari con una quantità
variabile di grassi e di tessuto connettivo; il quadro, invece,
di questa concretezza riproduce solo limmagine e spesso
solo linvolucro, facendo sparire i dettagli, la striatura
delle fibre e la porosità dei tessuti. Il pittore spronato
dal dono della sintesi, riduce, diluisce in un simbolo i frammenti
di vita che si legano al doppio filo dellenergia e della
morte. Di essi rimane soltanto un ambiguo agente visivo che
però sulla nostra percezione, nel dubbio di non aver
capito esattamente ciò che ci troviamo di fronte, agisce
come quel gonfiore esasperato che si produce sul nostro corpo
quando siamo feriti da unape mellifera e la sua arma
resta incagliata nella carne di noi vittime del voyeurismo
globale.
Gabriele Perretta
LArtista nel 1993-96 ha trattato il ciclo
pittorico LHomme ècorchè proponendoci,
per lappunto, una figura umana scorticata, larvale,
scvata nel suo intimo, nelle sue viscere, proposta in sequenza
partendo dalla definizione anatomica per arrivare a un groviglio
di forme che suggeriscono lidea di un labirinto, di
un viaggio magico, iniziatico non solo dentro il corpo ma
anche dentro la pische. La sua pittura nella serie Ipostasi
si stacca di più dal riferimento realistico, in questo
caso cogliamo le suggestioni viscerali di Francis Bacon, riletto
secondo unottica onirica.
Il volto umano si riduce a una maschera contorta, informe,
simile a una crisalide dal cui bozzolo escono linee aerodinamiche
che rappresentano le inquietudini dellincoscio.
Gabriele Turola
Hanno titoli icastici i lavori di Giovanni Fioretto.
Lhomme ècorchè - titolo dellesposizione
del 1996,allestita presso lIstituto di Cultura Francese
a Napoli - ossia luomo scorticato, sbucciato.
E ancora Ipostasi, che si riferisce al progetto
pluriennale, del quale nel 1997 lartista ha esposto
Il plastico distallazione e il demo in video presso
il Trevi Flash Art Museum. Li collega una sola linea, un solo
filo, rosso come gli sfondi delle Ectopìe,
in cui compaiono, isolati, organi che sconfinano verso lesterno
di un corpo invisibile, neppure accennato. E così,
eludendo i confini, si atrofizzano sulle monocromie delle
grandi tele, fino a sembrare scabre ossa - impalcatura
residua del tempo di tutti, come scrive Erri de Luca,
originario di Napoli come Fioretto.
Ma questi organi/ossa, che immaginariamente ruotano
nello spazio, non sono che figura, segno visibile di quella
sostanza immutabile che permane sotto lapparenza dei
fenomeni. O ancora, appunto , sostegno , invisibile scenografia
- per fare riferimento ad una realtà ben nota allartista
- di quellevidenza che è la maschera umana. Calando
sulla rappresentazione di un volto, o di un corpo, il concetto
di fenomeno, e quin di di mutevolezza , di corsa
del tempo, ecco che la figura si muove, si svuota, ruota su
se stessa , si anima da dentro e si decompone verso lesterno.
Eppure, dietro le quinte, resta lipostasi,
lessenza delluomo scorticato.
In alcune tonalità cromatiche - seppur con una tavolozza
più calda, che prevede ocra e rossi accesi - così
come nellopacità delle figure, e nel loro movimento
nello spazio, limmaginario di Giovanni Fioretto rammenta
la lucida oggettivazione propria della pittura di Francis
Bacon. Una pittura che non estromette il tragico da se stessa,
in cui la realtà caotica che pulsa oltre il visibile,
dal buio e dal silenzio, si spinge in primo piano.
Camilla Ugolini Mecca
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